Il lavoro in nero, ovvero lavorare senza un regolare contratto, è vietato dalla legge italiana e prevede delle conseguenze.
Il lavoro irregolare in Italia continua a essere un fenomeno diffuso e in crescita, nonostante le misure restrittive adottate dal Governo.
Secondo i dati della Guardia di Finanza, tra gennaio 2023 e maggio 2024, sono stati scoperti quasi 60mila lavoratori in nero, con un incremento del 32% rispetto al periodo precedente. Questo ha causato un danno di circa 3 miliardi di euro, mettendo in luce le gravi conseguenze economiche e sociali legate al lavoro sommerso.
Il lavoro in nero rappresenta una seria minaccia per i diritti dei lavoratori e per le casse dello Stato. Chi lavora senza un contratto regolare non versa i contributi previdenziali, il che significa non poter maturare il diritto alla pensione, all’indennità di disoccupazione e ad altri ammortizzatori sociali.
Inoltre, in caso di malattia o infortunio, un lavoratore in nero non ha alcuna protezione economica, trovandosi in una condizione di estrema vulnerabilità.
Dal punto di vista economico, l’evasione fiscale e contributiva dovuta al lavoro irregolare priva lo Stato di risorse fondamentali per il welfare e per lo sviluppo del Paese. Nel 2021, il lavoro nero ha generato un buco di 68 miliardi di euro, con un impatto particolarmente importante al Sud Italia, dove si concentra il 37% del lavoro irregolare.
Con il Decreto Legge n. 19/2024, le multe per i datori di lavoro che applicano il lavoro in nero sono aumentate e variano in base alla durata dell’impiego irregolare:
Queste multe vengono maggiorate del 20% se il datore di lavoro impiega lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno, se si tratta di una recidiva nei tre anni precedenti o se coinvolge minori sotto l’età lavorativa. In questi casi, oltre alla sanzione amministrativa, si applicano anche pene detentive da 6 mesi a 3 anni e una multa di 5.000 euro.
Ma se il datore di lavoro regolarizza il dipendente prima di un’ispezione, mettendolo in regola per tutto il periodo di collaborazione, la sanzione non viene applicata.
Non solo i datori di lavoro, ma anche i dipendenti possono incorrere in sanzioni se vengono scoperti a lavorare in nero. Chi mente sul proprio stato di disoccupazione può essere accusato di “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, un reato punito con la reclusione fino a due anni.
Inoltre, se un lavoratore irregolare percepisce indebitamente sussidi come la Naspi o il Reddito di Cittadinanza, può essere obbligato a restituire le somme ricevute e, in alcuni casi, affrontare azioni penali.
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