Abiti e divise da lavoro: chi deve comprarle?

Quando bisogna indossare una divisa, a chi spetta comprarla: al datore di lavoro o al lavoratore? Scopriamolo subito!

Molte professioni richiedono l’uso di specifici abiti o divise da lavoro, che spaziano dai settori istituzionali (forze dell’ordine, personale sanitario, magistrati) a quelli privati (hostess, cuochi, commessi).

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Abiti e divise da lavoro: chi deve comprarle? – lagazzettaaeroportuale.it

Questi indumenti, oltre a rappresentare l’azienda, garantiscono decoro e professionalità. È quindi importante sapere chi debba sostenere i costi legati alla loro fornitura e manutenzione.

Abito o divisa da lavoro: la differenza

Non tutti i capi richiesti ai lavoratori possono essere definiti “divise”. Quando il datore di lavoro richiede un certo stile senza imporre un’uniforme precisa, si parla di “abito da lavoro”.

In questo caso, il dipendente utilizza capi propri, scegliendoli in base a indicazioni generiche. Ad esempio, un’azienda potrebbe chiedere abiti formali senza fornire ulteriori dettagli.

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Abito o divisa da lavoro: la differenza – lagazzettaaeroportuale.it

Diverso è il caso della “divisa aziendale”, che rappresenta l’identità dell’azienda, spesso recante loghi o colori distintivi. È comune nei franchising e nei supermercati, dove i dipendenti devono indossare abiti specifici per promuovere il marchio.

Vi sono poi indumenti richiesti per motivi di sicurezza, definiti dispositivi di protezione individuale (DPI), come caschi o scarpe antinfortunistiche, obbligatori in determinati settori. In questo caso, è il datore di lavoro a doverli fornire e mantenere in efficienza, senza costi a carico del dipendente (art. 18 del D.Lgs. 81/2008).

Chi paga per l’abito o la divisa da lavoro?

La distinzione tra abito e divisa è fondamentale per determinare chi debba sostenere i costi:

  • Abito da lavoro: il costo di acquisto e lavaggio è a carico del dipendente, poiché si tratta di abiti propri scelti liberamente.
  • Divisa aziendale: il datore di lavoro deve fornire gratuitamente la divisa, poiché questa rappresenta l’azienda. Inoltre, il lavoratore è tenuto a prendersi cura della divisa e a restituirla al termine del rapporto di lavoro. Eventuali danni per negligenza possono comportare richieste di risarcimento da parte del datore.

Nel caso dei negozi di abbigliamento, è prassi che i dipendenti indossino capi dell’azienda. La normativa prevede che, se obbligati a indossare determinati abiti, il costo non possa essere addebitato al lavoratore, neppure con sconti riservati ai dipendenti (art. 230 CCNL Commercio-Terziario).

Il “tempo tuta”: diritto alla retribuzione

Un aspetto importante è il tempo necessario per indossare e togliere la divisa, noto come “tempo tuta”.

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Il “tempo tuta”: diritto alla retribuzione – lagazzettaaeroportuale.it

Questo tempo rientra nell’orario di lavoro e va retribuito se:

  • Il datore impone il luogo e il momento per cambiarsi.
  • Cambiare abito è obbligatorio e disciplinato.

Se invece il lavoratore può indossare la divisa a casa propria, il tempo impiegato non è considerato orario di lavoro. La giurisprudenza, come stabilito dalla Cassazione, conferma che il “tempo tuta” è retribuibile solo quando è soggetto a direttive aziendali.

In alcuni casi, la divisa ha una funzione protettiva oltre che rappresentativa. Ad esempio, le tute per operatori ecologici o per addetti alle pulizie possono essere considerate DPI se proteggono da rischi specifici, come polveri o agenti biologici. In tali circostanze, il datore di lavoro è obbligato a fornire, mantenere e lavare gli indumenti, in conformità al D.Lgs. 81/2008.

La regolamentazione sugli abiti da lavoro è chiara: se si tratta di una divisa o di DPI, i costi sono a carico del datore di lavoro, compresi manutenzione e lavaggio. Rispettare queste normative garantisce tutela ai lavoratori e promuove un ambiente lavorativo conforme alle leggi sulla sicurezza e sulla rappresentanza aziendale.

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